Quattro soci imolesi al cospetto della “montagna degli italiani”
Il K2 dal versante cinese
Si è appena concluso con successo il trekking in Xinjiang durato quindici giorni, con l’obiettivo di raggiungere il campo base Italiano sotto lo spigolo Nord del K2, conosciuto in Cina come QogoRi (grande montagna).
La spedizione di nove partecipanti, organizzata dal nostro socio e membro del direttivo Giuseppe Pompili, con la partecipazione dei soci Paolo Mainetti, Sante Poppini e Massimo Giacomozzi, ha avuto il patrocinio della sezione del CAI Imola nel quadro delle iniziative volte a celebrare il 90° anniversario della propria fondazione.
E’ stato un itinerario d’altri tempi, impegnativo, svolto in aree remote, a quote comprese tra i 4.000 e 5.000 metri, con numerosi guadi superati a piedi e a dorso di cammello, vero protagonista di questo trek.
Questo quadrupede, provvisto di due gobbe, è resistente alla fatica, alla fame e al freddo, e può trasportare carichi sino a 250 chili nelle zone desertiche di alta quota. Siamo partiti da Kashgar, ex città carovaniera lungo la via della seta, oggi metropoli cinese con 600.000 abitanti. Dopo 545 chilometri di piste, superando alti passi sino a 5000 metri, siamo giunti al villaggio di Yilik, ultimo avamposto abitato, tra le impervie e franose montagne del Kun Lun; qui si trova la frontiera di fatto tra Cina e Pakistan a 50 chilometri dallo spartiacque reale. Ce ne accorgiamo dai minuziosi controlli dell’esercito e della polizia locale, oltre che dai numerosi reticolati di filo spinato che sbarrano la valle.
Superati gli ultimi check-point, ha avuto inizio il trek vero e proprio, che si svolge su sentieri pressoché invisibili, riconoscibili solo dalla nostra guida kirghiza Abdul e dai cammellieri.
Si attraversa una zona “cuscinetto” ampia 50 chilometri, completamente disabitata, fatta di ampie valli fluviali e montagne impervie innevate, alte tra i 5000 e 6000 metri. I rumori che ci accompagnano sono lo scroscio dei corsi d’acqua e il sibilo del vento.
Campeggiamo nelle rare anse del fiume Shakgam con magri arbusti, unico alimento per le nostre cavalcature: una carovana di 12 cammelli, 9 trekkers, 3 cammellieri, il cuoco, l’aiuto e una guida.
Dopo cinque giorni di guadi e passi impegnativi, che ci costringono più volte a toglierci gli scarponi e a salire sul dorso dei cammelli, ecco che vediamo apparire l’inconfondibile silhouette del K2 nel fondo di una valle stretta e incassata.
Lo spigolo nord del K2 si staglia netto tra l’azzurro del cielo da un lato e il bianco delle nubi dall’altro. Lo spigolo “fuma”, segnale di forti venti in quota alla fine dell’estate. La visione dura poco, le nubi presto avvolgono l’intera montagna e anche la salita al campo base italiano a 4700 metri di quota, accanto a un ghiacciaio tormentato che negli ultimi anni si è gonfiato oltre le morene laterali, non ci regala molto di più. Siamo grati alla montagna per essersi svelata per la vista della sua impressionante parete nord, solcata da ghiacciai pensili e spazzata dai venti.
E’ una visione fugace che suscita attrazione e repulsione insieme, unita al fascino dei grandi spazi e della potenza della natura. Ce ne andiamo con la consapevolezza che probabilmente non torneremo mai più in queste lande selvagge e inospitali. Ci basta averle contemplate con timore e reverenza, di aver constatato una volta di più come anche nella solitudine e desolazione più completa, la natura sappia regalarci una grande bellezza.
Giuseppe Pompili

Da sinistra: Poppini, Giacomozzi, Pompili e Mainetti

La valle morenica alla base del K2